L’etica non è più una scelta. Le neuroscienze e il bene comune

Le neuroscienze hanno aiutato noi psicologi ad ottenere più credibilità validando teorie che fino a pochi anni fa erano solo ipotesi per addetti ai lavori.
L’esempio più coinvolgente dimostra che il cervello umano si organizza sin dalla nascita attraverso il contatto con il genitore e che il comportamento dell’adulto che si prende cura del bambino si trasforma in un correlato biologico (in parole più semplici in una rete di neuroni) Allan Schore.
La connessione tra neuroni e la relazione tra esseri umani sono così importanti che l’evoluzione della specie si impegna da 40000 generazioni per modificare il nostro sistema nervoso e renderlo meno reattivo e più altruistico.
Sembra paradossale, ma la cooperazione è stata considerata il vero vantaggio competitivo che ha permesso all’essere umano di differenziarsi in modo in-quantificabile dai grandi primati pur condividendo con questi il 98,8% di patrimonio genetico.
Non solo: l’essere umano è l’unico animale interessato a condividere contenuti NON materiali, basati semplicemente sulla necessità di connessione e finalizzati a preservare il BENE del legame e non solo i BENI concreti.
Basti pensare che la specie umana è l’unica a regolare l’equilibrio corporeo e l’espressione delle emozioni tramite la relazione con un altro essere vivente, in particolare con un altro essere umano.
Per questo la nostra specie é stata dotata di variazioni neurologiche ed organiche, che costituiscono un unicum nel mondo animale, finalizzate alla costruzione e manutenzione del contatto sociale e i dati di molte ricerche mostrano continue correlazioni tra buone relazioni e salute psico-fisica.
L’ “Altro” non solo non è il mio competitore ma, al contrario, è il presupposto della mia esistenza.
Stephen Porges parla di relazione come “imperativo biologico”.
L’empatia, ed in particolare la compassione, hanno una forte valenza di cura: a livello neurofisiologico è stato ormai dimostrato che chi prova compassione, ed in particolare chi medita sulla compassione, viva uno stato di calma e di benessere massimi.
Chi prova compassione può modificare la struttura del suo cervello e aumentare lo stato di connessione, legame sociale ed anche performance e creatività (persino in ambito lavorativo).
Chi prova compassione riesce a cogliere e rispondere ai segnali di aiuto, gestire e modulare emozioni negative e aggressive.
La compassione e la pratica della stessa, favorendo l’integrazione a livello intrapersonale, facilitano uno stato di consapevolezza e presenza mentale, uno stato di coscienza in tutti i sensi che previene anche la dissociazione a livello sociale.
La maggiore consapevolezza porta a una maggiore responsabilità e la responsabilità è una delle basi del comportamento etico.
Una visione del mondo ricca di prospettive e cosciente delle conseguenze delle nostre azioni (a livello micro, medio e macro) può riportare ad un comportamento più sostenibile dal punto di vista sociale, ecologico, sia individuale che collettivo.
È stato proprio lo scollamento etico, incoraggiato dalla nostra cultura del profitto, che ha indotto a rimuovere il versante filosofico ed escatologico dal comportamento sociale.
La persona compassionevole e integrata si rivela invece essere un cittadino più sano e produttivo.
L’essere umano possiede infatti una spinta intrinseca ad aiutare, ma anche una propensione ad imparare per imitazione: dunque è realmente importante essere di buon esempio e aiutare le persone che ricoprono posizioni apicali, e che possono realmente modificare la struttura dei nostri contesti sociali basati su conoscenze obsolete e su pericolosi fraintendimenti.
Le buone relazioni sono quindi alla base della società civile e della salute pubblica: i costi in milioni di Euro degli esiti di relazioni carenti o deviate, sono facilmente rintracciabili.
Parlo proprio di soldi per l’intera società. La ricerca A.C.E. di Felitti su 18.000 pazienti organici ci mostra dati impressionanti: l’aspettativa di vita di chi ha avuto esperienze relazionali stressanti e traumatiche durante l’infanzia si accorcia drasticamente anche in un contesto sociale ricco come il nostro.
I risultati suggeriscono che l’impatto di esperienze infantili negative sulla salute da adulti sia forte e cumulativo e costituisca un sovraccarico per il sistema sanitario che non può che intervenire sul sintomo più che sulle cause.
Le leggi scritte devono essere affiancate dalle le famose leggi invisibili, le leggi del cuore, descritte da Sofocle in “Antigone”.
La legge invisibile, che tutela il bene relazionale, aiuta sfatare il mito “homo homini lupus”
È ora di comprendere che non solo il mio vantaggio non corrisponde ad un tuo svantaggio: il principio di socialità e mutualità del cervello indicano, al contrario, che il nostro stato di benessere non può prescindere dal benessere altrui, bensì dipende da questo e ci conviene da tutti i punti di vista, persino da quello economico.
Come la mente emerge dalle emozioni, e quindi dal corpo, così la morale emerge dal nostro DNA.

L’etica, dunque, non è più solo una questione di ordine ideologico o religioso, ma risulta essere una questione di ordine BIOLOGICO.
Il nostro imperativo categorico consiste nell’impegno a creare contesti più adeguati alla conoscenza della nostra specie: la nostra cultura dovrà avere più rispetto della nostra natura.

Marta Zighetti

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